sabato 22 gennaio 2011

Uno sguardo ritrovato



Ascolto “Finlandia” di Sibelius e mi scendono due lacrime. Si proprio due. Il tanto che serve per sgonfiare gli occhi dall’acqua salata che hanno generato. La chimica che smuove la musica nel nostro cervello è un qualcosa di grandioso. Io direi un miracolo. Fa tornare in mente ricordi. Amplifica le tristezze e innalza le gioie. La musica è un grande amplificatore di emozioni. Se si stanno reprimendo delle cose dentro, quando si ascolta buona musica, quelle cose vengono fuori tutte. E questo un po’ mi spaventa delle volte. Infatti sto sempre molto attento a cosa ascolto e quando. Mentre altre volte, come oggi, mi diverto  a vedere cosa esce fuori dagli stimoli di alcuni ascolti.
E con “Finlandia” di Sibelius sei uscita ancora una volta tu. Due occhi di mare su cui volare. Ormai credo che il tuo volto sia diventato in me emblema di un qualcosa di non ben definito...un qualcosa che non sei tu nella realtà. Analizzando come sono andate le cose, forse sei l’emblema della ragazza che non mi da spazio né possibilità di esprimermi. Una ragazza di una bellezza quasi obiettiva e oggettiva. Avrei voluto vedere anche oltre quegli occhi colorati di vita. Avrei voluto scoprire gli occhi della tua anima. Si. Perché io non ti conosco. Affatto. Di te so solo quello che mi hanno suggerito i miei occhi, il mio naso, le mie orecchie durante quella manciata di minuti in cui ci siamo visti, parlati, guardati, annusati. Niente più. Per accarezzare una mente serve altro. E sono certo che avrei potuto farlo. Ma non è ho avuto l’occasione. Non me l’hai data l’occasione.
Intanto è arrivato Rameau con il suo clavicembalo in re minore e continuano a girare i tuoi occhi. Volevo conoscerti per scoprirti brutta e non interessante così da farti uscire dalla mia testa, bellissima come sei entrata, senza nessun problema. Invece ci sei. Misteriosa, affascinante e sfuggente. Chi sei?
Forse sei me. Travestito da donna. Con un’altra faccia. Sei quella mia parte che mi vuole sconfitto. Inespresso. Senza possibilità di replica. Nell’insuccesso di una relazione umana mancata a priori. Respinto senza una parola, senza se e senza ma. Forse il tuo viso così delicato, così freddamente più bello di tutti gli altri,  ha dato il volto alla mia tremenda ombra che inneggia alla mia sconfitta. Che mi vuole in ginocchio. Disperato. Umiliato. Forse i tuoi occhi in me sono diventati gli occhi della mia struggente tristezza. Il fallimento. Totale.
E solo ora mi rendo conto che oltre al tuo, hai preso il fascino del tremendamente oscuro. Dell’ombra. Di quell’incalzante nero che c’è dentro ognuno di noi. Ti desidero e ti temo. Sei viscerale in me e nello stesso tempo così delicata, irraggiungibile, come un angelo di un Dio così lontano dalla Terra.
Rachmaninov con il concerto per orchestra e pianoforte sui temi di Paganini mi fa tornare in me. Quelle due lacrime nate con Sibelius, non ci sono più. Riacquisto la capacità di vedere cosa sto osservando. E ciò che vedo sono le lancette dell’orologio. Sono le tre e un quarto di notte.
Quando si tolgono le ore al sonno si sentono cose che forse sarebbe stato meglio non sentire. O forse, da ora in poi, dopo aver capito chi sei, potrò tornare a guardarti quando ti rivedrò in giro. Forse da domani mattina saprò meglio con chi sto lottando dentro di me e saprò meglio come sconfiggerlo ancora una volta. Come sempre. Vincerò ancora io, come sempre. Anche perché il giorno che perderò, morirò. E allora non ci saranno più guerre per la vita da combattere.
Ora Rachmaninov s’azzittisce e sulla playlist non c’è più nessuno a cui ho concesso la parola sta notte. Ora canterà il silenzio e spero che io dormirò fra le sue braccia. Ancora una volta.
Come sempre.
La profondità e la grandezza di una vita forse sta nella profondità e nella grandezza delle ansie che si affrontano e che si sconfiggono. O forse sta solo nell’averne e nel riuscire ad accarezzarle senza più combatterle…e fra tutto questo delirio che svanisce resistono, ancora una volta, solo i tuoi occhi…

Esci 
Dai profumi di un ricordo

Leggera
Danzando

[…]

Con le ali di farfalla
Sei tornata fra i pensieri
Ti ricordo con la luce
Ti ritrovo come il sole

sabato 8 gennaio 2011

Dove vado?



È quasi natale e ai lati delle strade c’è neve e in tante parti delle strade e dei marciapiedi c’è ghiaccio. Bisogna stare attenti a dove si cammina, a dove si mettono i piedi, si potrebbe scivolare, cadere e farsi male. Gli ospedali allestiscono tende di emergenza per tutti quelli che si sono rotti braccia o gambe. Quindi in fondo te lo chiedi “Dove vado? Prendo il marciapiede dove c’è del ghiaccio e rischio di cadere o vado per strada dove il ghiaccio non c’è ma mi passano le macchine a due centimetri?”. E così rimani fermo un attimo, ti guardi intorno, guardi se qualcun altro in cammino come te ha scelto il marciapiede o la strada, guardi se c’è qualcuno preso sotto dalle macchine per strada o per terra nel ghiaccio con una gamba rotta. E sai cosa vedi? Che di gente in cammino non ce n’è poi così tanta e ci sono sia quelli con le gambe rotte nei marciapiedi che quelli investiti dalle macchine. Al diavolo. E questa volta non servirà nemmeno guardare le stelle per orientarsi. Il problema è quaggiù non lassù. Si, in fondo ti chiedi anche un’altra cosa “come sarà il mondo visto da lassù? Chissà come sarà la mia piccola testolina?”. Ma a loro non frega niente di dove e come sceglierai di camminare. Al diavolo. Non so nemmeno io come sono figuriamoci se lo vedono le stelle da lassù. Una volta un vecchio diceva che le stelle sono le anime dei morti, quelle più splendenti si vedono sino noi a milioni di anni luce di distanza mentre le altre, quelle meno lucenti, si vedono da altre parti, ma non sino a noi. E se invece le stelle fossero solo ammassi di molecole come questo ghiaccio del cazzo o questi lampioni sfiatati di sta sera?
Potrebbe essere. O forse no. Tutto può essere, a meno che non lo sia. E quindi? Dove vado?

Non so nemmeno
chi sono

Nessuno me lo dice

Quando il vento
spezza gli alberi
mi prende la paura
di essere come loro

martedì 4 gennaio 2011

…e infatti non ci sei

…ancora il solito imbecille. T’incanti, t’innamori e a mala pena parli. Quello che mi fa incazzare è che il romanticismo non mi piace. Mi piace il romanticismo che c’è in un panino con la salsiccia e cipolle ad un raduno di bikers ad una festa della birra di provincia. Dove non esiste l’italiano, ma solo il dialetto. Dove non esistono rossetti, fondi tinta, profumini da 300 euro, scarpette con i tacchi che rimarrebbero incastrate nel fango e tanti giri di parole, ma dove ci sono solo labbra consumate dal freddo, qualche ruga sulle guance e un po’ di ‘borse’sotto gli occhi per la stanchezza della giornata, il profumo e l’odore della pelle, della tua pelle e scarpe da tennis che non hanno mai visto un campo da tennis, comprate solo perché costavano poco. E poi mi perdo, colgo tutte, o quasi tutte, le tue bellezze, anche quelle che nemmeno tu sai di avere. Ti osservo sorridere, mangiare, stare in silenzio, ridere, con gli altri. Senza parlare. Senza invadere. Senza riuscire ad interrompere un tuo sorriso, un tuo silenzio, un tuo parlare…e così ti lascio andare mentre disegno un tuo ritratto per cercare di vederti ancora dentro…e infatti ora, qui, in questa stanza buia, fra le ragnatele dei miei pensieri, non ci sei…

Non è il tuo corpo
Non è la tua voce
Non è il tuo silenzio
Così leggero

Non sono le tue converse
Nere e consumate
Nemmeno il cappottino rosso
O il cappellino storto in testa

Ma sei solamente tu,
Che mi rapisci senza pietà,

Immagine riflessa
Dai tuoi occhi sfuggenti
Profondi, taglienti

Che quando sorridi incantano
E quando sei seria attraggono

[…]

Povero imbecille che sono
Con la capacità di cogliere
E l’incapacità d’esprimere…

Un altro pezzo se ne va

E così ti ritrovi davanti al bancone del bar della stazione. Solita vita. Soliti viaggi. Che ormai senza ti sentiresti un po’ ammuffito, ma in fondo quando sei in un posto da qualche giorno inizi anche a pensare che forse ci potresti vivere. Ordini un caffè. Poi ti perdi subito nei meandri delle matasse dei tuoi pensieri, non alzi più nemmeno lo sguardo, rimani lì con le mani infilate nei guanti, dentro le tasche del giubbotto imbottito contro il freddo. Il caos intorno degli annunci della stazione e delle isterie dei viaggiatori piano piano scompare e ritorni a chiederti come ci si può innamorare di due occhi. In poche ore. In pochi sguardi. Il caffè arriva il barista te lo piazza proprio sotto il naso ma tu rimani li perso in quegli occhi vivaci, misteriosi, leggeri. Dopo un paio di minuti che sei fermo immobile come uno scemo davanti al bancone con gli occhi chissà dove, il barista torna, si ferma a guardarti. In effetti sei uno spettacolo più unico che raro: nella perenne frenesia di quella stazione c’è qualcuno che si ferma, che s’incanta…poi ti dice “Il caffè è arrivato…” ma tu non accenni segno di vita, così lo ripete più forte fra il divertito e il preoccupato “Signore, il caffè è arrivato!” e tu hai un sussulto, ma non per il ‘Signore’, anche se ancora non ti capaciti come qualcuno possa darti del signore, ma per il cenno che ha fatto con la mano davanti alla traiettoria del tuo sguardo. Ritorni lì nel tuo corpo in quella stazione, sbatti un paio di volte gli occhi e capisci chi sei e dove sei ma non cosa sta succedendo. Vedi il barista lì davanti a te gli chiedi: “Cosa?” e lui con gli occhi sempre più increduli ti ridice che il caffè è arrivato da un po’ e te lo indica. Tu abbassi di scatto lo sguardo chiedendoti come è possibile che non ti sia accorto che il caffè era già lì da diversi minuti, anche se in effetti, ora, vedendotelo lì sotto il naso, capisci anche di cos’era quel piacevole odore che sentivi da un po’…il caffè! Fai un sorriso al barista camuffando la mezza figura di merda che stavi facendo dinnanzi a lui e agli occhi di una parte di società che non è più abituata vedere gente perdersi nel ricordo di due occhi che probabilmente non vedrà nemmeno più…
E così ti bevi il tuo caffè…mentre un altro pezzo se ne va…

M’hai tagliato
Col tuo sguardo
M’hai rubato
Un pezzo dentro

…e nemmeno lo sai
non te ne sei accorta…

[…]

Il silenzio raffinato dei tuoi occhi
L’eleganza un po’ distratta del tuo sguardo
M’accompagnano nel mondo dei miei giorni
Là dove sei stata ma dove ora non sei