A volte la Solitudine parla ruvida all’anima: Come sei giunto sin qui, dopo anni, in questo modo? Perché sei ancora qui ad avere bisogno di me?
Chi eri e chi sei diventato? Hai ancora paura di occhi che ti vedono e che ti
guardano?
"No, non è questo a farmi tornare da te e da me. Sai bene che c’è chi
ha paura di te e cerca negli altri una fuga dalla tua presenza. Io no, tu lo
sai e vuoi provocarmi. Io ti cerco tanto quanto cerco la compagnia, la
condivisione, la convivialità. Gli altri mi fanno un po’ paura solo quando mi
svuotano e non sono in grado di riempirmi, di guardarmi, di dirmi ciò che
pensano, di aprire in loro e in me quelle porte che nemmeno sapevano e sapevo
di avere. Temo gli altri quando sono delle entità inconsapevoli della propria
luce e rimangono neutri seppur vivi."
La Solitudine mi raggiunge a passi felpati, a braccetto con il
Silenzio, e mi colpisce come un duro rimprovero della vita. Sembra farmi
sentire inappropriato a me stesso, inappropriato a questo insieme bellissimo di
colori che vedo intorno a me con i quali però non trovo un contatto. Mi sembra
di toccare la realizzazione di me stesso come potrei toccare, con mani buche,
foglie che cadono al vento. Un’affannosa ricerca di trovare la luce delle
stelle oltre un cielo annuvolato. Forse in una stanza completamente disordinata
almeno un oggetto è probabile che sia esattamente nel posto in cui dovrebbe
essere, così penso che nel caos di questo istante, in questa stanza di oggi,
almeno una cosa dovrebbe essere esattamente dove deve essere e inizio a
cercarla. Il Silenzio dopo aver visto il caldo di alcune lacrime tenta una
frase e dice è un momento di transizione.
Una frase che sarebbe così scontata se non fosse stato proprio il Silenzio
a dirla.
E mi fa pensare.
Guardo dentro. Il cantiere è fermo, i lavori sembrano bloccati, gli
operai non capiscono che succede, non capiscono perché da giorni non hanno
direttive, si girano verso il capocantiere che di solito è sempre così
indaffarato fra carte, ordini da dare, il correre dappertutto per controllare
il lavoro dell’intera squadra e vedono anche lui fermo, decisamente sorpreso,
smarrito, non capisce e rimane statico in attesa di nuove direttive da seguire
e far seguire. Nelle sale dei piani alti i dirigenti si guardano intorno e non
trovano né le carte né i file dei progetti che avevo preparato tempo prima,
alcuni progetti li ritrovano ma sembrano ora vecchi e imperfetti e non sono più
sicuri se portare avanti quei lavori in quel modo… Per cui temporeggiano, aspettano
a dare il comando agli operai di procedere. Chi passa vede i lavori fermi, ma
non ci fa molto caso perché pensa che probabilmente sono solo gli operai che si
stanno riposando un attimo, facendo una pausa dal duro lavoro. Ci può stare. Ma
chi era solito passare da tempo rimane un po’ sorpreso perché aveva sempre
visto quegli operai lavorare a testa bassa, quel capocantiere correre e urlare
come un forsennato, le betoniere sempre cariche e in movimento, il rumore dei
ferri che sbattono, martelli pneumatici al lavoro… E sanno che quel momento
della giornata non è il momento della pausa, non lo era mai stato prima e non
dovrebbe esserlo ora. Certo si fermano solo un attimo poi devono andare avanti
per la propria strada e non si fanno troppe domande a riguardo. Forse hanno finito i soldi, forse gli operai
stanno facendo uno sciopero… Mah… Guardano, si fermano un attimo e passano.
Ma gli operai non stanno facendo uno sciopero, anzi, avrebbero voglia
di continuare a lavorare duro come sempre, ma i comandi mancano. Sono finiti i soldi? Abbiamo commesso
qualche errore irreparabile? Siamo tutti a rischio?
Poi, con sorpresa, vedono che l’operaio più vecchio di tutti sta
sfruttando quella sosta forzata riposandosi seduto, bevendo dell’acqua, rinfrescandosi
la faccia impolverata, guardando il cielo, occhi chiusi rivolti al sole. Lui
sa. Sa che i lavori riprenderanno più duri di prima o almeno il suo istinto gli
dice così. I progetti cambiano e quando i progetti cambiano si deve lavorare
più duro di prima perché poi spesso bisogna andare a rompere nel fondo le
fondamenta che si erano fatte anche molto tempo prima e bisogna andare a
modificare il resto della struttura seguendo le nuove direttive. Il vecchio lo
sa che quel cantiere non è affatto fallito ma è solo fermo. Arriveranno ordini
e bisognerà sudare più di prima. Perché sa bene che quando la costruzione è molto
alta, complessa e ambiziosa c’è un momento durante il lavoro in cui i progetti
nelle carte non trovano più pieno riscontro nei fatti dei mattoni posati giorno
per giorno nella realtà. Sa che c’è quel momento in cui tutto si deve fermare
per essere rimesso sul tavolo dei piani alti per ripartire migliore di prima. Per
cui sai che c’è? C’è che quel momento di stasi se lo gusta, guarda il cielo, fa
dei respiri più profondi del solito e sorride appena. Gli altri non comprendono
ma percepiscono che anche loro capiranno qualcosa presto. Si sentono meglio.
Una transizione non è un periodo che semplicemente sta fra altri due
periodi più importanti. Una transizione è il momento fondamentale della
costruzione, quel periodo che a seconda di come lo si vive può portare ad una
struttura migliore o peggiore di come il tutto era prima. Il Silenzio sembra
aver consigliato di non preoccuparsi troppo ma anzi imparare dal vecchio operaio
e sfruttare quei momenti, giorni, mesi per ricaricarsi, rinfoltire il manto di
piume delle proprie ali per ritornare fra le braccia di Eolo con più grinta,
fare il pieno di sorrisi e ringraziare.
A volte il Silenzio e la Solitudine sono due presenze dure ma se prese
a giuste dosi riescono ad illuminare squarci di vita che se no con il loro nero
farebbero crollare l’intero sole dentro.
Foglia che cadi
da un manto di stelle
vedo il sorriso
Sublimi la morte
Da fine a passaggio
Divinamente