mercoledì 8 novembre 2017

IL MOMENTO DI MEZZO

A volte la Solitudine parla ruvida all’anima: Come sei giunto sin qui, dopo anni, in questo modo?  Perché sei ancora qui ad avere bisogno di me? Chi eri e chi sei diventato? Hai ancora paura di occhi che ti vedono e che ti guardano?

"No, non è questo a farmi tornare da te e da me. Sai bene che c’è chi ha paura di te e cerca negli altri una fuga dalla tua presenza. Io no, tu lo sai e vuoi provocarmi. Io ti cerco tanto quanto cerco la compagnia, la condivisione, la convivialità. Gli altri mi fanno un po’ paura solo quando mi svuotano e non sono in grado di riempirmi, di guardarmi, di dirmi ciò che pensano, di aprire in loro e in me quelle porte che nemmeno sapevano e sapevo di avere. Temo gli altri quando sono delle entità inconsapevoli della propria luce e rimangono neutri seppur vivi."

La Solitudine mi raggiunge a passi felpati, a braccetto con il Silenzio, e mi colpisce come un duro rimprovero della vita. Sembra farmi sentire inappropriato a me stesso, inappropriato a questo insieme bellissimo di colori che vedo intorno a me con i quali però non trovo un contatto. Mi sembra di toccare la realizzazione di me stesso come potrei toccare, con mani buche, foglie che cadono al vento. Un’affannosa ricerca di trovare la luce delle stelle oltre un cielo annuvolato. Forse in una stanza completamente disordinata almeno un oggetto è probabile che sia esattamente nel posto in cui dovrebbe essere, così penso che nel caos di questo istante, in questa stanza di oggi, almeno una cosa dovrebbe essere esattamente dove deve essere e inizio a cercarla. Il Silenzio dopo aver visto il caldo di alcune lacrime tenta una frase e dice è un momento di transizione. Una frase che sarebbe così scontata se non fosse stato proprio il Silenzio a dirla.
E mi fa pensare.

Guardo dentro. Il cantiere è fermo, i lavori sembrano bloccati, gli operai non capiscono che succede, non capiscono perché da giorni non hanno direttive, si girano verso il capocantiere che di solito è sempre così indaffarato fra carte, ordini da dare, il correre dappertutto per controllare il lavoro dell’intera squadra e vedono anche lui fermo, decisamente sorpreso, smarrito, non capisce e rimane statico in attesa di nuove direttive da seguire e far seguire. Nelle sale dei piani alti i dirigenti si guardano intorno e non trovano né le carte né i file dei progetti che avevo preparato tempo prima, alcuni progetti li ritrovano ma sembrano ora vecchi e imperfetti e non sono più sicuri se portare avanti quei lavori in quel modo… Per cui temporeggiano, aspettano a dare il comando agli operai di procedere. Chi passa vede i lavori fermi, ma non ci fa molto caso perché pensa che probabilmente sono solo gli operai che si stanno riposando un attimo, facendo una pausa dal duro lavoro. Ci può stare. Ma chi era solito passare da tempo rimane un po’ sorpreso perché aveva sempre visto quegli operai lavorare a testa bassa, quel capocantiere correre e urlare come un forsennato, le betoniere sempre cariche e in movimento, il rumore dei ferri che sbattono, martelli pneumatici al lavoro… E sanno che quel momento della giornata non è il momento della pausa, non lo era mai stato prima e non dovrebbe esserlo ora. Certo si fermano solo un attimo poi devono andare avanti per la propria strada e non si fanno troppe domande a riguardo. Forse hanno finito i soldi, forse gli operai stanno facendo uno sciopero… Mah… Guardano, si fermano un attimo e passano.
Ma gli operai non stanno facendo uno sciopero, anzi, avrebbero voglia di continuare a lavorare duro come sempre, ma i comandi mancano. Sono finiti i soldi? Abbiamo commesso qualche errore irreparabile? Siamo tutti a rischio?

Poi, con sorpresa, vedono che l’operaio più vecchio di tutti sta sfruttando quella sosta forzata riposandosi seduto, bevendo dell’acqua, rinfrescandosi la faccia impolverata, guardando il cielo, occhi chiusi rivolti al sole. Lui sa. Sa che i lavori riprenderanno più duri di prima o almeno il suo istinto gli dice così. I progetti cambiano e quando i progetti cambiano si deve lavorare più duro di prima perché poi spesso bisogna andare a rompere nel fondo le fondamenta che si erano fatte anche molto tempo prima e bisogna andare a modificare il resto della struttura seguendo le nuove direttive. Il vecchio lo sa che quel cantiere non è affatto fallito ma è solo fermo. Arriveranno ordini e bisognerà sudare più di prima. Perché sa bene che quando la costruzione è molto alta, complessa e ambiziosa c’è un momento durante il lavoro in cui i progetti nelle carte non trovano più pieno riscontro nei fatti dei mattoni posati giorno per giorno nella realtà. Sa che c’è quel momento in cui tutto si deve fermare per essere rimesso sul tavolo dei piani alti per ripartire migliore di prima. Per cui sai che c’è? C’è che quel momento di stasi se lo gusta, guarda il cielo, fa dei respiri più profondi del solito e sorride appena. Gli altri non comprendono ma percepiscono che anche loro capiranno qualcosa presto. Si sentono meglio.

Una transizione non è un periodo che semplicemente sta fra altri due periodi più importanti. Una transizione è il momento fondamentale della costruzione, quel periodo che a seconda di come lo si vive può portare ad una struttura migliore o peggiore di come il tutto era prima. Il Silenzio sembra aver consigliato di non preoccuparsi troppo ma anzi imparare dal vecchio operaio e sfruttare quei momenti, giorni, mesi per ricaricarsi, rinfoltire il manto di piume delle proprie ali per ritornare fra le braccia di Eolo con più grinta, fare il pieno di sorrisi e ringraziare.

A volte il Silenzio e la Solitudine sono due presenze dure ma se prese a giuste dosi riescono ad illuminare squarci di vita che se no con il loro nero farebbero crollare l’intero sole dentro.



Foglia che cadi
da un manto di stelle
vedo il sorriso

Sublimi la morte
Da fine a passaggio
Divinamente