La bellezza va curata tutti i
giorni (e non parlo di quella esteriore, o perlomeno entrambe vanno curate
tutti i giorni), la felicità va conquistata un pezzo al giorno come anche la
libertà. O meglio si nasce liberi e perfetti ma poi con il tempo ci auto
imponiamo tutta una serie di limiti che ci fanno diventare imperfetti, brutti,
tristi e prigionieri di noi stessi. Il percorso che si deve fare non è quello
di “migliorare” ma è quello di “ricordare”, di “purificare”. La nostra luce
interiore è come se la soffocassimo nel tempo attaccandogli sopra veli scuri di
paure, timori, ansie, nevrosi…ciò che dobbiamo fare non è migliorare perché
siamo già perfetti nel nostro intimo, dobbiamo staccarci di dosso quei
maledetti veli che abbiamo incollato sopra il nostro faro, che ci hanno
attaccato i nostri genitori dicendoci da piccoli cosa eravamo capaci di fare e
cosa no, cosa potevamo e non potevamo fare con frasi tipo: “No, ma tu non sei
portato a fare…”, “No ma lascia stare non ce la fai…”, “Te l’avevo detto…”, “Io
non ti ci vedo proprio…”. Anche la società con i suoi schemi prefabbricati e
già strutturati ci ha comunicato altri limiti, ci ha detto cosa ci avrebbe reso
felice e cosa no, ci ha detto cosa significa essere di successo e appagati, ci
ha detto cosa dobbiamo fare o comprare per conquistare la libertà.
E noi gli abbiamo creduto.
Pensando che la felicità,
l’appagamento, la realizzazione la si raggiunge tutti allo stesso modo. E così
abbiamo affossato ancora di più la voce della nostra luce, ascoltando ancora
meno le richieste del nostro io interiore e lasciando spazio invece alle voci
dell’esterno, che praticamente sempre hanno nascosti in loro altri fini e che
non sanno assolutamente niente di noi e della nostra interiorità. Chi meglio
del nostro io interiore sa cosa ci serve davvero per la nostra felicità?
Però in tanti ormai
confondono le voci “dell’esterno” con quella “dell’io interiore”. Non le
distinguono più. Anzi, scusate il termine, ma il piano di rincoglionimento di
massa è così talmente riuscito che tanta gente ha così tanto interiorizzato le
voci dell’esterno da credere ormai che quella è la loro reale volontà. Così
fanno tutto quello che credono dia loro felicità e poi si ritrovano
tremendamente vuoti, tristi, aridi e incattiviscono convincendosi che “la vita
è così”.
Nelle nostre ansie,
depressioni, tristezze, disperazioni siamo perfettamente i figli di questa
società. Siamo il perfetto prodotto di come vorrebbero che fossimo. Pieni di
ansie, mancanze, bisogni. Ma quelle che crediamo siano le nostre ansie,
depressioni, tristezze, disperazioni in realtà non sono nostre, non siamo noi.
Sono come parassiti che ci hanno attaccato dall’esterno per renderci
vulnerabili, gestibili, bisognosi.
Noi non siamo così.
Quelle ansie non sono nostre,
non sono parte di noi, sono solo dei pezzi neri che ci siamo attaccati sopra di
noi (o abbiamo lasciato che altri ce li attaccassero addosso). Noi infatti siamo
tutti pezzi di luce purissima. Nella nostra profondità siamo assolutamente
lucenti, a immagine e somiglianza di Dio, noi stessi Dei incarnati capaci di
creare la nostra vita come meglio crediamo o vogliamo. I limiti che abbiamo, o meglio
che crediamo di avere, ce li siamo messi noi e ora siamo incapaci di
toglierceli. E quando non ce li hanno messi gli altri ce li siamo messi noi per
paura. E poi ci rattristiamo e ci disperiamo una vita intera davanti a questi
limiti autoimposti. È uno dei paradossi più grandi di noi stessi. Quando ti
viene da dire “sono fatto così” non è la tua interiorità che parla ma sono i
“parassiti neri” (ansie, paure…) alimentati dalle voci dell’esterno a farti
parlare così. Loro vogliono farti credere che sei così, ma tu in realtà non lo
sei. Il tuo io interiore davanti alle possibilità della vita ti dice sempre
come vuole essere ma noi altrettanto spesso lo reprimiamo con pensieri del tipo
“no, così non si può” “magari potessi” “non ci riuscirei mai” “sarebbe troppo bello”.
Così ci togliamo da noi la divinità creatrice che ci contraddistingue e
colpiamo a morte la nostra passione, uccidiamo lentamente la nostra luce,
reprimiamo e stacchiamo pezzi del nostro lucente io interiore sotto gli occhi
compiaciuti dei “parassiti” che ci hanno intaccato la mente dall’esterno.
Liberiamoci.
C’è un io interiore che ci
chiede aiuto…magari anche in ogni desiderio “pazzo” che ci prende la mente. In
qualsiasi momento della giornata potrebbe esserci la richiesta d’aiuto della
nostra luce attraverso un pensiero strano, un’intuizione, un pensiero o
progetto che noi etichettiamo subito “troppo bello”. Non lasciamolo morire. Non
autocastriamoci ancora una volta.
Non si può sperare di
raggiungere la felicità continuando ad agire in preda all’egoismo, alla
presunzione, alle chiusure, all’arroganza. Ergiamo muri alti e spessi dentro i
quali ci chiudiamo ermeticamente e poi ci domandiamo perché non vediamo la luce
e urliamo “ah, vita crudele, mondo malvagio, siamo nati per soffrire e morire
in questa valle di lacrime”. Si, nella condizione di vita che vi siete creati
così facendo, si. Non dobbiamo confondere quei muri con il panorama che invece
la vita offre a chi impara semplicemente a guardare.
Ma il fatto è che abbiamo
paura. Le nostre azioni, fateci caso,
sono determinate alla loro profonda radice da due possibili forze: l’amore o la
paura. Tutto ciò che deriverà dalla paura porterà mattoni e cemento per
costruire i nostri muri, per murarci vivi, per costruire la nostra tomba. Tutto
ciò che invece deriverà dall’amore ci porterà alla felicità, all’appagamento,
alla realizzazione, al respirare l’aria delle montagne e a sentire la brezza
del mare.