Suonare
in mezzo al verde, alla natura, dinnanzi ad un lago dentro una riserva
naturale. Suonare guardando le colline, gli alberi, l’acqua, sentendo uccelli,
insetti e animali di ogni tipo intorno a te. Non in un teatro o in una sala da
concerti, no…in mezzo alla natura, come un suono fra i suoni. Passa il vento e
fa suonare le foglie di tutti gli alberi che mi sono intorno e a quel punto non
mi sento il solista della situazione e cerco di accompagnare, ma dopo poco
sento e comprendo che lì non ci sono affatto solisti da accompagnare…solo suoni
con cui integrarsi e giocare.
La
natura respira e il modo migliore d’integrarsi con essa è respirare. Si
abbassano le difese. La mente, osservando le colline, il verde e l’azzurro,
rallenta i giri. Le dita si muovono più lentamente, più serenamente…qui non
esistono “suoni sbagliati” e il sangue gira più fluido fra le mani e il
pensiero.
Non
è importante che tipo di suoni siano: suoni acustici, suoni elettronici
amplificati, campane tibetane, vetri, voce umana, battiti di mani e di
palpebre, una chitarra elettrica, un’armonica a bocca…che importanza ha? Suoni
fra suoni, danzando la stessa musica fra le stesse vibrazioni. Tutti spostiamo
l’aria creando oscillazioni contaminanti. E la natura assorbe ogni cosa sorridendo.
Così
fra tutto questo si avvicina uno spirito in ricerca, sussurrando un pensiero: “da suoni l’umanità è partita e ai suoni
l’umanità ritornerà”. Così immagino i primitivi, immersi molto più di noi
in questa natura che respira, facendo suoni senza un “pensiero armonico” senza
una volontà “strutturale”, senza la necessità dell’originalità, senza il timore
dell’errore e del giudizio. Solo una volontà di esternare, emettendo suoni.
Tutto era scoprire e forse ancora oggi tutto rimane da scoprire poiché nulla
c’è da “scoprire” ma semplicemente da “vivere”.
Si
ritorna alla domanda madre a cui tutti fanno a gara per rispondere e tutti
gli altri non tentano nemmeno: “Cos’è la musica?”. Strano per me tentare una
risposta dopo tanto che non mi pongo nemmeno la domanda. Strano ma questo luogo,
tramite due occhi neri a cui piace pensare, mi guardano e me la ripropongono
dopo tanto tempo. Mi rivengono in mente tutte le risposte che i grandi
compositori davano dinnanzi a Luciano Berio che chiedeva, ma non mi bastano…io, ora
e qui, forse stupidamente, credo che la musica l’abbia inventata l’uomo come
un’artistica forma di controllo sul suono. Una sorta di santificazione del
“suono” per innalzarlo sopra il “rumore”, costruendo gabbie dorate di regole e
indicazioni da scegliere liberamente in modo obbligatorio, trasformando una
necessità in un tentativo d’arte regolata. Poiché, in fondo, anche la stessa
volontà di ribellarsi alle regole non fa altro che dare altra e rinnovata forza
alle regole stesse.
Ma
ieri no, ieri era diverso.
Giocano
le dita
Fra
le vibrazioni lucenti che creano
L’azzurro
non parla
Mentre
il verde pulsa respirando
Immenso,
millenario, polmone
La
terra suona una musica
Così
diversa dalla nostra
Da
non riuscire quasi più a sentirla
Emanando
vibrazioni che scaldano
Mentre
domande assopite si risvegliano
Strusciandosi
con occhi che cercano
Generando
infine il silenzio
Tipico
delle domande vere
[…]
Le
corde perdono il tempo
Consapevoli
dell’impossibilità di sbagliare
Godendone
Leggere
e rilassate
[...]
Beatitudine
d’altri tempi…